Dieci poesie di Armanda Guiducci

Brevità degli abbracci

Io giaccio in te, mio spazio d’amore,
e tu giaci in me, con un respiro solo.

Un corpo completo vibra nell’intreccio:
ma a lui è negato di durare.

Perché non esistono le sirene,
né i liocorni, i cavalli marini;

sulla terra, esistono solo forme
che si compongono e scompongono

solitarie, come la luce, la neve.

*

Il sonno del mattino

Ho dormito. Per metà della vita,
ho dormito: sono stata felice.
Finché, morendo, tu non m’hai svegliata
e detto: «Guardalo, il tuo amore. Guarda
che fragile finzione, quel che credi
duraturo, eterno!». E mi ha colpito
il viso il tuo alito guastato.
«Tanto vale non amare. Tanto, credi,
dar fuoco a tutti i ponti.» Dunque, anche tu
dormivi quando m’abbracciavi? Forse,
all’amore giovane, è complice
dei sogni – fitti e illesi – la penombra,
come nel breve sonno mattutino?
Eccoci al giorno che distrugge. Svegli,
ci guardiamo in faccia – ed è ben duro,
continuare, in questa luce cruda.

*

L’ odore dell’amore

Quando bacio il tuo corpo non astratto
s’apre di colpo a me, come in un fiore
– penetrante – l’odore d’una vita
che incarni solo tu – solo tu rendi,
più solenne d’un fiore. Salgono fresche,
godute primavere; con i pensieri
andati e perduti, le parole.

Fragrante passione, si sottrae a te
solo il lunare universo dei corpi
assenti: come gli amori finiti,
le figure lontane, o scomparse.

*

Gli occhi

Al mattino, tu porti occhi verdi
come una donna una fresca camicetta
da cui irruente splendore si promette,
di specchio in specchio, sui vetri della strada.
Alti nel viso, e verdi. Li riabbassa
la sera; li rabbuia (e molte pieghe
v’ha inciso intorno l’ombra che scolpisce).
Ma, ora, sono verdi, verdi, verdi …
Verde bellezza alta del mattino.

*

Eclisse

Tremulo filo nel cavo d’una lampada
folgora e spezza, la corsa della luce.
L’estraneità del buio – che interrompe
le curve belle, ogni visione chiara –
fu tra di noi chiarezza fulminata.
Poi, uno sprazzo. Il filo incandescente
si è riteso a brillare. Ora, sappiamo
le intermittenze, le cecità del cuore,
e che niente di intatto, sulla terra,
regge la luce a lungo. Il tramonto,
è del giorno. Il sole, porta l’ombra,
il sole stesso … E interi astri oscura,
a intervalli, il disco d’un pianeta.

*

Non sempre

Il cielo è cosi antico … e questa
invenzione appena incominciata
(riuscire se stessi amando un altro)
mi stanca a tale punto. Occorre
la forza impossibile dei sogni,
per essere reali. Amarsi
richiede un alto grado di realtà,
ed arte, passione per il vivere,
ed io non sempre … Ah, incapace
– o interdetta – d’estro, fantasia,
o pigra, inerte – non ogni giorno,
non sempre, non ogni giorno t’amo.

*

Il peso della vita

Quella vallata più bianca della morte …
Ti portavo neve ad aghi, fra i capelli.
Al curvo bacio, volgevi altrove gli occhi
dolorosi. La semprechiusa finestra
ti inquadrava una realtà irreale:
pura, perfetta – nella distesa intatta
dell’inverno. Io – ti schiantavo, col peso
della vita. E, senza osare saperlo,
tu mi odiavi. «Guarda i miei amici» dicesti
brusco a un tratto: tre becchini uccelli immoti,
neroposati sopra il davanzale. «Va.
Ritorna nella vita.» Cosi, pregasti
– fingendo di ignorare … Forse, ignoravi.
Io, ero la vita – che si ama odiando,
se ci sfugge estranea. «Lasciami solo.
Sono stanco. Sono stanco di morire.»

*

I cicli delle primavere

Silenzioso, ambiguamente casto,
giaci … Sembra tu ascolti prepararsi
il mormorante suono delle crescite.
Non esita cosi incerto un fiore
cui aria luce terra ignote forze
diano il privilegio di ingrandire.
Non è concesso a te, dal tuo profondo,
ciascuna volta di fiorire – e basta.
Tu, ciclica primavera, getti il seme
ogni volta più lontano dall’infanzia.

*

Risveglio

La più pura luce del mattino
gualcisce l’ira, la notte, del tuo viso.
Cosí saluti chiarezza, splendore:
con pupilla furiosa, labbra strette
e una repressa voglia di ferire
chi, amando, t’augura il buongiorno.

O chiarità del cielo, non inganni
lui come me, tesa alla finestra
a tessere canestri con le nuvole,
fresche e rugose figure del vento.

*

L’appuntamento

«Fra dieci anni, è qui l’appuntamento.»

Dieci anni … Che sfida. Breve eternità,
i figli avranno le spalle squadrate,
i vecchi di oggi – disfatti … e noi?
quali altri pesi, pene, porteremo?
E la gente, in che cosa crederà
fra dieci anni? Poi che, pazzo, il tempo,
ora, ingoia uomini e cose
con ingorda furia, e mai la vita
è scorsa più veloce ed effimere
le idee, gli anni che speri sono troppi

per ritrovarci vivi. (Non nel corpo,
dico, nel cuore. Nel cuore capace
di sfide, o di promesse.) Se il corpo
lo potrà, agli anni detti, sarò qui,
ad aspettare – i tuoi occhi di oggi.

(Da Poesie per un uomo, Trieste, Asterios Editore, 2018)

Armanda Guiducci, all’anagrafe Armanda Giambrocono, nasce a Napoli nel 1923. Laureata in filosofia a Milano, è allieva di Antonio Banfi. Collaboratrice e direttrice di diverse riviste politiche e letterarie, Armanda vanta dagli anni Cinquanta in poi una multiforme attività culturale, che si riflette in una produzione ricca e varia.

Armanda Guiducci è infatti filosofa, scrittrice, poetessa, critica letteraria, traduttrice, sceneggiatrice; si interessa anche di antropologia, etnologia e psicoanalisi; partecipa attivamente al movimento femminista italiano.

Tra le sue opere più significative si ricordano Il mito Pavese (1967), A colpi di silenzio (1982), Donna e serva (1983), Medioevo inquieto, storia delle donne dal VII al XV secolo (1990) e la silloge poetica Poesie per un uomo (1965). Nei versi di Armanda Guiducci, l’amore raggiunge un’intensità quasi dolorosa, nel tentativo di colmare la distanza abissale e irrimediabile che separa l’uomo e la donna.

Donatella Pezzino

Nella foto: la poetessa Armanda Guiducci (immagine da Wikipedia)

Articolo pubblicato su Alessandria Today alla pagina: https://alessandria.today/2024/06/13/poeti-dieci-poesie-di-armanda-guiducci-di-donatella-pezzino/